Ben Harper live alla Civitella: il reportage

Ben Harper

Venerdì 12 luglio si è tenuto a Chieti il live di Ben Harper, cantante e chitarrista californiano attivo ormai dal 1992 e celebre in tutto il mondo.

In un’epoca di concerti che cercano il più possibile di ricalcare il lavoro in studio, l’artista californiano rappresenta un’eccezione. Con la sua lap steel guitar, immobile e concentrato, si conferma ogni volta un artista fuori dai canoni e dalle mode. Il live è organizzato magistralmente dalla Best Eventi.

Con una decina di minuti di ritardo Ben Harper coi suoi Innocent Criminals fa il suo ingresso poco dopo le 21. Jeans, camicia e cappello bianco, Ben non sembra certo curarsi del look, a maggior ragione a 50 anni, dopo quasi trenta passati a calcare le scene.

Lo scenario dell’antico anfiteatro della Civitella è di grande fascino. Per una volta le parole dell’artista – beautiful location – sembrano sincere..

Ben Harper inizia con alcuni classici del primo repertorio, Excuse Me Mr. e Burn One Down, seguiti da Don’t Give Up On Me Now e The Will To Live, tutte suonate con la Gibson a tracolla e con grande apporto del percussionista Leon Mobley.

Poi è il momento di Juan Nelson, fenomenale e storico bassista della band. Con una voce dalla grande potenza, regala una cover di Buddy Miles, Them Changes. È una performance semplicemente favolosa.

Ben Harper riprende il controllo del palco e il live entra nel vivo. Alternando la Gibson alle sue Weissenborn lap steel – suonate da seduto – snocciola classici come la contagiosa Steal My Kisses, Alone e Please Bleed.

A questo punto è il momento di rallentare con una manciata di pezzi acustici, per sola chitarra e voce. Anche se la scelta dei pezzi non è particolarmente accattivante – Deeper And Deeper, Forever – in questi momenti si ha chiara la percezione di essere davanti a uno dei cosiddetti mostri sacri. Harper ipnotizza il numerosissimo pubblico; nell’anfiteatro non vola una mosca e gli spettatori paiono seguire quasi col fiato sospeso.

La band rientra e ci avviamo alla conclusione con un’ultima parte dal tenore vagamente più blues, specie nella stupenda Call It What It Is, inno contro il razzismo a stelle e strisce e vero diamante nel songbook del californiano; spettacolare, in questo brano, il batterista Oliver Charles. E, a proposito di diamanti, la chiusura è affidata a Diamonds On The Inside, pezzo del 2003 dove Harper, veleggiando tra Neil Young e i Beatles, scrive la canzone perfetta.

Il pubblico è in delirio, tutto in piedi, quando l’immutabile rito dei bis vede il rientro dei quattro musicisti per un ultimo, infuocato, set. Ed ecco così versioni dilatate, con la lap steel di Ben in prima linea, di Glory & Consequences, Machine Gun di Hendrix e una sontuosa Superstition di Stevie Wonder.

È la degna conclusione di una serata indimenticabile per gli amanti del rock.

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