Gabriele Manthonè, storia illustre di un pescarese per caso

Gabriele ManthonèGabriele Manthonè

Capita spesso di passare per le vie della nostra città, quelle vie che conosciamo a menadito, e nominare i personaggi a cui sono dedicate ignorando chi essi siano. Un esempio è Corso Manthonè, il cuore pulsante della “movida” pescarese. Oggi vi raccontiamo la storia di Gabriele Manthonè.

Se cercate su Wikipedia, leggerete che Manthonè fu un “patriota e militare italiano”, nato a Pescara il 23 ottobre del 1764 e morto a Napoli nel 1799, appena trentacinque anni dopo. Resterebbe da capire patriota di quale patria e ci sarebbe anche da cavillare sull’italiano, visto che l’Italia unita era di là da venire e che Pescara faceva parte all’epoca del Regno di Napoli.

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, perché Manthonè nacque a Pescara, visto che suo padre, Cesare Delhorme era un savoiardo? Scopriamo così che questi fu costretto in gioventù a riparare a Napoli dopo un omicidio, e costretto a cambiare il cognome in Manthonè – dal nome di un possedimento di famiglia – per evitare di essere perseguito dalla legge.

A Napoli si arruolò nell’esercito e fu spedito a Pescara per motivi di servizio.

La nostra città allora era un piccolo borgo tra paludi malsane, che circondava l’importante Fortezza di Pescara.

Confermando un approccio piuttosto spregiudicato, o forse per amore, il Manthonè già Delhorme sposò la figlia del comandante della guarnigione, tale Maria Teresa Fernandez D’Espinosa, e dal matrimonio nacque Gabriele.

Cresciuto nella Fortezza e con la vita della caserma, il giovanissimo Gabriele ad appena 12 anni fu avviato, col fratello Giovanni Battista, alla carriera militare, diventando cadetto e studiando successivamente all’Accademia militare della Nunziatella di Napoli, da cui uscì come alfiere avviando una rapida carriera che lo vide passare di grado in grado fino a diventare capitano comandante nel 1798.

Atto Vannucci descrive Gabriele Manthonè come:

“…grande nella persona e nell’animo, per natura eloquente, destro maneggiatore di armi fino dai suoi più giovani anni, valoroso, e sempre autore o seguace dei più forti e generosi consigli.”

Un po’ seguendo le orme paterne, fece un buon matrimonio sposando Margherita Castagna, vedova del colonnello suo comandante e da cui ebbe l’unico figlio Cesare.

Erano i tempi delle campagne napoleoniche in Italia e, nonostante Manthonè avesse un ruolo importante nell’esercito borbonico, alla caduta di Napoli fu piuttosto lesto ad abbracciare il nascente ideale repubblicano.

Era nata la Repubblica di Napoli, esperimento di grande importanza ma destinato ad avere vita breve per una serie di errori strategici e di gestione. Il primo presidente provvisorio, il farmacista Carlo Lauberg, era amico personale di Manthonè e gli affidò subito il prestigioso incarico di mettere insieme un efficace esercito repubblicano.

Nel frattempo il Cardinale Ruffo aveva riunito un esercito reazionario, dal roboante nome di Esercito della Santa Fede, e, raccogliendo vasti consensi muoveva alla riconquista di Napoli.

Manthonè commise forse l’errore di sottovalutarlo e quando si decise a contrastarlo andandogli, in un certo senso, incontro senza aspettare di essere stanato in città, i suoi uomini erano troppo pochi e la sconfitta con successiva ritirata fu inevitabile.

L’assedio parve arridere da subito alle truppe del Ruffo, anche se quando Manthonè fu nominato generale delle truppe napoletane e riuscì a riconquistare qualche posizione l’ottimismo tornò a serpeggiare. Tuttavia fu un fuoco di paglia e la capitolazione era dietro l’angolo, complice anche il sentimento dei napoletani, dai quali la repubblica, adoperando spesso il pugno di ferro con gli oppositori e rimanendo ben lontana dalle istanze popolari, non si era certo fatta amare.

Il 21 giugno del 1799, contro il volere del Manthonè, la capitolazione venne stipulata col cardinale Ruffo.

Le parole sono ancora di Atto Vannucci:

“… magnanimo e valorosissimo, misurava dal proprio il valore degli altri, e credeva che dieci Repubblicani vincerebbero mille contrari. Con queste speranze partì alla testa di seimila uomini contro il nemico, lasciando la guardia della città ai calabresi. Dapprima vinse tutte le piccole bande d’insorti sparse per le campagne: ma quando ebbe raggiunto il grosso dell’esercito del Cardinale, si trovò circondato e soverchiato da un numero molto più grande di combattenti e, quindi, fu costretto a ritirarsi.”

Qui la vicenda si fa un po’ confusa, pare che Manthonè avesse concordato la resa in cambio della salvezza con l’ammiraglio Nelson in persona. L’accordo, in un primo tempo rispettato, venne rotto e il 3 agosto fu processato a Castelnuovo dalla giunta dei generali che lo condannò a morte. L’impiccagione abbe luogo il successivo 26 settembre.

A proposito dell’esecuzione, riportiamo un altro documento di Vannucci, come gli altri reperibile in rete:

“Fo fede io qui, sotto segretario della compagnia dei Bianchi della giustizia di questa città, sotto il titolo di Sancta Maria succurre miseris, che nel giorno 24 settembre del 1799 D. Gabriele Manthoné, siccome reo di Stato, munito dei santissimi sacramenti, fu dai nostri fratelli assistito a ben morire, ed il suo cadavere dagli stessi fratelli fu officiato nella Chiesa del Carmine Maggiore, dove ricevé l’ecclesiastica sepoltura.”

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