di MICHELE BRUNETTI
Abruzzo vero fulcro della gastronomia italiana, capace di influenzare le tradizioni culinarie di tutto il Centro Italia, spesso vittima di qualche furto in cucina.
In un’indagine svolta da Confesercenti-Ref, condotta fra i turisti stranieri che scelgono l’Italia, la migliore cucina tra le tutte le cucine regionali italiane è proprio la nostra. Noi che la viviamo, non siamo stupiti, anzi vogliamo toglierci, simpaticamente, qualche sassolino dalla scarpa. La pasta all’amatriciana è considerata un piatto tipico laziale, addirittura un vanto per i romani, ma non tutti sanno che in realtà è una tipicità abruzzese. Sì, questa ricetta è stata inventata molto prima del 1927, anno in cui sotto il regime fascista, il borgo di Amatrice passò dalla regione Abruzzo a quella del Lazio, entrando a far parte dell’appena nata provincia di Rieti. Possiamo considerare l’amatriciana una delle ricette della nostra tradizione. Oggi, nei pressi del Lago di Campotosto, viene cucinata con una pasta speciale fra gli spaghetti, i bucatini e i rigatoni, condita con del guanciale, pomodoro e pecorino, rigorosamente abruzzese. Non è l’unico scippo storico, stesso discorso vale per i “coglioni di mulo”, la mortadella campotostana. Sempre la città di Amatrice per un periodo di tempo, si era appropriata della paternità del famoso salume, in seguito al dominio che nel periodo medioevale aveva avuto sulle zone di Campotosto e paesi vicini. Questa mortadella è antichissima, alcuni storici ritengono che la tradizione sia quasi millenaria, ora è sempre più rara poterla degustare. Composta solamente da carne di suino, che i pastori allevavano sui Monti della Laga, la sua forma è ovoidale dal peso di circa 300 grammi. Ha una grana fine e all’interno, su tutta la sua lunghezza, viene inserita una barretta di lardo. Il tutto viene condito con sale, pepe e vino bianco. Dopo la prima maturazione, che solitamente dura una giornata dentro lo “scifone”, contenitore in legno, l’impasto viene rimescolato con un infuso ai chiodi di garofano e cannella. L’insaccatura avviene manualmente, con cucitura del budello attorno all’impasto.
Sull’origine delle sagne invece, oltre ai laziali, tentato scippo anche da parte degli ora cugini molisani, una volta fratelli, almeno fino al 1963, anno della scissione tra le nostre regioni. Noi abruzzesi possiamo fare riferimento alla ricetta tradizionale delle “sagne a pezze e cicerchie”, la più antica rinvenuta. La povertà degli ingredienti rendeva questa pasta adatta al pranzo di tutti i giorni, era in contrapposizione alla pasta all’uovo, tipica dei giorni festivi. Veniva aggiunta la cicerchia, una leguminosa che per le sue proprietà nutrienti un tempo era utilizzata in sostituzione della carne. La bassa resa, la difficoltà per la coltivazione insieme alle mutate abitudini alimentari ne hanno ridotto notevolmente la diffusione. Cambiamenti che continuano ancora oggi. Negli ultimi anni, per esempio, mangiare per strada è sempre più frequente. Oltre il domandarci se sia una moda o una rivoluzione, pensiamo un attimo alla porchetta. Caposaldo dello street food italiano, molti ignorano la sua origine o superficialmente la si attribuisce alla regione Lazio. Ma le cose non stanno proprio così. Il dibattito è tuttora aperto, ma a Campli, nella provincia di Teramo, già gli Statuti comunali del 1575, rinnovati per opera di Margherita d’Austria, contenevano numerose indicazioni sull’uso, la vendita e la cottura della porchetta. Nel paese teramano, fin dal 1964, ogni ultimo fine settimana del mese di agosto, si tiene la “Sagra della porchetta italica”, prima sagra abruzzese della storia e una delle prime organizzate in Italia. La rivendicazione camplese è suffragata dal rinvenimento di tracce di maiali nella limitrofa Necropoli di Campovalano.
E quanti vini prestigiosi italiani sono stati tagliati e arricchiti per decenni con il nostro, adesso rivalutato, Montepulciano per raggiungere quel qualcosa in più? Ma questa è un’altra storia.