Trivelle in mare, dall’Imu al referendum

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Se là in mezzo al mar ci stan camin che fumano, devono pagare l’Imu? L’interrogativo circola da tempo, si attarda nei palazzi istituzionali, galleggia nelle aule di giustizia e tuttavia giace ancora senza risposta definitiva. Alle richieste dei Comuni che vogliono far pagare l’occupazione del suolo ai petrolieri fanno puntualmente seguito le contromosse delle stesse società petrolifere: il risultato è una querelle spinosa giocata in punta di diritto. L’interpretazione dei codici, branditi dalle parti e dalle controparti, è ora nelle mani della Corte di Cassazione, dalla quale ci si aspetta una parola risolutiva. E’ proprio dal Palazzaccio di Roma, sede della Corte Suprema, che arrivano novità potenzialmente utili a tracciare una strada dirimente. In quale direzione andrà questa strada è presto per dirlo, tuttavia una luce in fondo al tunnel – o in fondo al mar… – i Comuni potrebbero pure scorgerla, a patto di leggere in senso favorevole quanto accaduto giovedì 11 febbraio nella sezione della Cassazione che ha discusso il ricorso presentato dalle municipalità. Il presupposto normativo risale al 1992, quando il Parlamento stabilì che i possessori di fabbricati siti nel territorio dello Stato fossero tenuti al pagamento Ici. Tuttavia, essendo le piattaforme petrolifere poste in mare, ossia in territorio extra-demaniale e non accatastabile, è lecito pretendere il pagamento della gabella? Chi pensa che lo sia afferma che dette strutture, seppure site in acqua, abbiano fondamenta ancorate al suolo ed emergenti in modo stabile davanti alla costa di questo o quel Comune; quindi questo o quel Comune sono da ritenersi enti di riferimento ai cui poteri impositivi le società petrolifere sono tenute ad assoggettarsi. Poi ci sarebbe anche il trattato internazionale sul diritto del mare, secondo il quale gli Stati esercitano una sorta di sovranità territoriale sulle acque antistanti la propria costa fino alle famose 12 miglia (salvo alcuni limiti, come il passaggio inoffensivo di navi di altra nazionalità).

Imu

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L’estate scorsa la questione è assurta alla ribalta nazionale quando, per la prima volta, la Guardia di Finanza, ha contestato a Edison ed Eni il mancato versamento dell’Imu relativa al Campo Vega, l’enorme piattaforma petrolifera cogestita al largo della costa siciliana di Pozzallo, il maggiore insediamento in Italia. L’evasione ammonterebbe a circa 30 milioni di euro, accumulati negli anni per il mancato pagamento dell’Ici-Imu. Quello siciliano però è solo il caso più eclatante: coi petrolieri ad andare in bianco, anzi in rosso, sono un po’ tutti i Comuni, abruzzesi e non. Dopo varie sentenze controverse, le amministrazioni comunali si sono rivolte alla Corte di Cassazione avvalendosi dell’avvocato aquilano Ferdinando D’Amario che le rappresenta tutte. I municipi appellanti sono Pineto, Tortoreto e Torino di Sangro, poi Termoli, Gela, Porto Sant’Elpidio, Pedaso, Cupra Marittima e Falconara. La prima istanza ad essere stata discussa, l’11 febbraio, è quella presentata dal Comune di Pineto. Per la sentenza bisogna aspettare, ma qualcosa di significativo è comunque accaduto: <Il Procuratore Generale – racconta l’avvocato Ferdinando D’Amario – ha formulato due richieste, sta ora al collegio giudicante accoglierle o meno. Le richieste del Pg, formulate nell’interesse della giustizia, prevedono o che la questione, vista la grande rilevanza giuridica ed economica, venga sottoposta al vaglio delle Sezioni unite della Cassazione, oppure che gli atti relativi vengano rimessi alla Commissione Territoriale Regionale d’Abruzzo. Se si scegliesse questa opzione, sarebbe poi la Ctr a stabilire se la tesi dell’imponibilità sia valida e, in caso affermativo, a quantificare l’entità della tassa>. In attesa della sentenza, leggendo tra le righe affiora qualche speranza per i Comuni, alimentata proprio la scelta del Pg di formulare ulteriori richieste anziché rigettare l’istanza sic et simpliciter. Il sindaco di Pineto, Robert Verrocchio, attende con apprensione la decisione del massimo ordinamento giuridico, conscio anche del fatto che un eventuale pronunciamento favorevole al Comune creerebbe un precedente importante per gli altri ricorsi. Per lui e per tutti gli altri primi cittadini, alle prese con i tagli dello Stato e l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa, il tributo delle società petrolifere aiuterebbe le casse comunali ad emergere dal mare della miseria (che è nera come il petrolio, ma non altrettanto remunerativa). Infatti, se ciascuna delle 106 piattaforme dislocate nei mari italiani dovesse pagare – come ogni comune mortale – l’Imu e magari pure gli arretrati, all’orizzonte spunterebbero circa 2 miliardi di euro.

Ma sulle trivellazioni in mare pende anche la spada di Damocle del referendum, anche se la lama appare spuntata da due eventi recenti: primo, il venir meno di 5 dei 6 quesiti referendari proposti da alcune Regioni, inizialmente dichiarati ammissibili dalla Cassazione e poi cassati in ragione delle nuove norme; secondo, la scelta del giorno in cui chiamare gli italiani alle urne per rispondere all’unico quesito sopravissuto, incentrato sulla durata del giacimento. Agli elettori si chiederà di pronunciarsi sull’abrogazione della previsione che le attività di coltivazione di idrocarburi, relative a provvedimenti concessori già rilasciati in zone di mare entro 12 miglia marine, abbiano durata pari alla vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. I proponenti speravano che il referendum si svolgesse insieme al primo turno delle amministrative, ma l’ipotesi è sfumata perché il Consiglio dei Ministri ha deciso di dedicargli un giorno a parte, il 17 aprile. Una scelta fortemente criticata sia da sinistra che dalle associazioni ambientaliste, che vedono nella bocciatura dell’election day un modo per rendere più difficile il raggiungimento del quorum del 50%+1 dei votanti, necessario affinché il referendum abbia davvero peso; inoltre, l’accorpamento avrebbe fatto risparmiare circa 300 milioni di euro. Ora l’ultima parola spetta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma di solito un capo dello Stato non si mette di traverso nelle decisioni del Governo. Agli italiani interessati non resta che votare. Dopo aver pagato l’Imu, naturalmente.

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