Da una parte c’è il diritto allo studio, che in quanto tale è pure sancito dalla Costituzione. Dall’altra c’è il lavoro, che forse non è un dovere ma nemmeno un diritto, visto che nessuno lo garantisce, anche se è sempre la Costituzione a sancirlo. Eppure, se lo studio che si vuole intraprendere va verso l’esercizio della professione medica, allora il diritto finisce alle ortiche, così urticanti da tenere lontani gli studenti in eccesso. Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini a togliere i test di ingresso ci pensa da mesi, ma fa poco per eliminarli, solo qualche proclama che somiglia più a un’opinione personale che a una dichiarazione di intenti. Nel frattempo, i rettori recalcitrano e alcuni ordini professionali si avventurano nella difesa dei quiz. Chi invece avverte la vocazione medica ma è sfortunato al gioco se ne va all’estero (se può). Perché in Italia entrare a Medicina è un terno al lotto: troppe variabili, pochi posti, anacronistici test di ammissione, tanti pasticci. A combattere la battaglia del no al numero chiuso sono quelli che il camice lo vogliono davvero: insieme a chi li sostiene, si barcamenano tra un ok e un ko. Solo pochi giorni fa era circolata la notizia che attribuiva al Ministero della Salute l’idea di rispondere al dilemma semplicemente prevedendo una riduzione del 20% dei posti disponibili.
La cosa aveva fatto drizzare i capelli in testa a Jacopo Dionisio, coordinatore nazionale dell’Unione degli Universitari, il quale aveva dichiarato: “È l’ennesima dimostrazione di come il tema del numero chiuso venga affrontato nel peggior modo possibile. Di fronte ai tantissimi ricorsi che annualmente vengono presentati e vinti contro il Ministero e ai tentativi di università straniere di aprire in Italia corsi a numero aperto ecco la risposta: riduzione del 20% dei posti. È evidente come questa programmazione sembri andare nella direzione contraria a quanto stabilito in sede europea: con l’entrata in vigore dei nuovi orari di lavoro per il personale ospedaliero si è visto infatti che in Italia c’è carenza e non abbondanza di personale”. Oltretutto l’Udu ritiene del tutto sbagliato calibrare il numero di studenti al mercato del lavoro, e non solo per il rispetto del diritto allo studio, ma anche perché considera il numero chiuso un sistema fallace, adottato solo per mascherare i mancati investimenti nell’università.
Ma siccome l’Italia è un paese graziosamente schizofrenico, all’allarme di fine gennaio ha fatto seguito la lieta novella di inizio febbraio: la sezione terza bis del Tar del Lazio ha accolto un maxi ricorso di 8.800 studenti che, dopo i test di ingresso 2014-2015, erano stati esclusi dalla facoltà di Medicina e avevano deciso di adire le vie legali per ottenere l’iscrizione. Quella è stata una delle più contestate di sempre, sia perché la prova si svolse in aprile, a ridosso degli esami di maturità, sia per lo scandalo di Bari, dove il giorno del test si scoprì che il plico con i quiz era stato manomesso. Queste ed altre situazioni poco chiare avevano di fatto falsato la graduatoria finale, stilata su scala nazionale. Agli studenti esclusi era stato concesso di frequentare e sostenere esami, ma rimanevano sub iudice. La sentenza del Tar ne ha consolidato la posizione, dichiarandoli iscritti a tutti gli effetti. A rappresentare legalmente i ricorrenti è l’avvocato Michele Bonetti, che con il collega Santi Delia ha assistito i ragazzi coordinati dall’Unione degli Universitari.
“E’ una vittoria epocale, – afferma il legale – l’ultima volta che ci fu un numero così consistente di ricorsi accolti il ministero dell’Istruzione dovette cambiare la legge. Parliamo del 1999. Una cosa è certa: questa vittoria deve indurre il legislatore a cambiare il sistema. Non si può andare avanti a colpi di sentenze sul diritto allo studio”. Dice Andrea Core, teramano trapiantato a Roma come responsabile del settore “didattica e numero chiuso” dell’Udu: “Tra i quasi 9.000 ricorsi vinti per il 2014-2015 figurano anche alcuni studenti delle facoltà di Medicina abruzzesi, 81 a Chieti e 60 a L’Aquila, prima iscritti con riserva. Ora, dopo la sentenza, il numero degli iscritti a quell’anno accademico è raddoppiato. Gli studenti in sovrannumero hanno dimostrato frequentando lezioni e dando esami di avere il diritto di studiare ciò che avevano scelto. Come Udu, sempre con l’avvocato Bonetti, abbiamo sostenuto anche altri ricorsi presentati da studenti che si sono visti rifiutare l’iscrizione a Medicina non perché avessero ottenuto un punteggio insufficiente nei test di ingresso, ma per una firma mancante sulla scheda anagrafica”.
Anche Jacopo Dionisio si dichiara soddisfatto: “Sono sentenze storiche che segnano un passo avanti decisivo nella battaglia contro questo sistema di accesso e rappresentano la migliore risposta a chi vorrebbe una riduzione dei posti messi a bando per il prossimo anno accademico: è ormai evidente che il numero chiuso non funzioni. Occorre aprire un serio dibattito sull’argomento, includendo anche chi vive quotidianamente sulla propria pelle le storture dell’attuale sistema: si convochi un tavolo di confronto aperto agli studenti per elaborare un modello che superi il numero chiuso e renda finalmente accessibile l’università”. Il Miur però non sembra avere sufficiente volontà politica per affrontare l’argomento, il che produce due almeno due effetti: da un lato l’aumento degli studenti che presentano ricorso, dall’altro la comparsa in Italia dei primi atenei esteri che permettono l’accesso a tutti corsi di laurea. Basta pagare e il gioco è fatto. “Deve far riflettere – continua Dionisio – il caso dell’Università di Catania, dove vige il numero chiuso, mentre a Enna si apre un’università privata al centro di polemiche e intrecci politici”. Intanto, in attesa dei prossimi ricorsi che certo non mancheranno, sono già state pubblicate le date relative alle prove di ammissione per l’anno accademico 2016/2017: per Medicina e chirurgia e Odontoiatria e protesi dentaria si svolgeranno il 6 settembre: l’abolizione del numero chiuso per ora non sembra rientrare nei programmi ministeriali.