“Utilizzare animali a scopo sperimentale è antiscientifico, immorale e fuorviante perché nessuna specie vivente può essere modello sperimentale […]”. Si legge questo nel sito web della Lav (Lega antivivisezione) che da anni si schiera contro la sperimentazione animale. Una vicenda balzata agli onori della cronaca alcuni anni fa con la scoperta dei lager di Green Hill 2001 a Montichiari (Brescia) che, nella scorse settimane, ha avuto il suo epilogo con le condanne, da parte del tribunale di Brescia, al veterinario dell’allevamento Renzo Graziosi e al co-gestore della struttura Ghislane Rondot.
C’è una vicenda giudiziaria invece che ci riguarda da vicino: è il caso dell’istituto Mario Negri Sud di Santa Maria Imbaro in provincia di Chieti. Nell’aprile 2014 l’Associazione animalisti italiani onlus, nella persona del presidente Walter Caporale, scopre dell’intenzione del Centro ricerche, di voler uccidere migliaia di cavie come ritorsione contro il taglio dei fondi da parte della Regione Abruzzo.
“Quando venni a sapere delle loro intenzioni scrissi immediatamente al direttore del Centro, comunicandogli la disponibilità immediata dell’Associazione animalisti italiani onlus a farsi carico della salvezza delle cavie e del loro trasferimento, per evitare la loro uccisione – dichiara Walter Caporale – Oltre alla lettera, chiamai subito il Mario Negri Sud chiedendo un incontro immediato ed urgente con il direttore stesso, recandomi subito sul posto, poiché era in gioco la vita di centinaia di animali. Per tutta risposta, l’emerito vivisettore Tommaso Pagliani – continua Caporale – che ho provveduto a denunciare immediatamente dopo, tramite il nostro legale, dottor Michele Pezone, al mio arrivo chiese ai Carabinieri di bloccarmi l’ingresso all’istituto di torture, impedendomi l’ingresso con ben due gazzelle e rifiutandosi di farmi entrare nonostante io in quel momento fossi un rappresentante della Regione. Ora, finalmente, speriamo che sia la giustizia a punire il direttore della Fondazione Mario Negri Sud”.
La Procura della Repubblica di Lanciano infatti ha disposto la citazione di Tommaso Pagliani, davanti al Tribunale di Lanciano, il 25 giugno. Tanti elementi che ci hanno spinto ad approfondire l’argomento ai quali si è aggiunto anche l’incontro svoltosi il mese scorso a Pescara e organizzato dalla sezione locale della Lav al quale ha partecipato la biologa Michela Kuan, responsabile nazione Lav settore vivisezione e vincitrici del premio Dna 2013. Le cifre della Lav sono impietose: ogni giorno 3mila animali vengono usati nei laboratori italiani attraverso avvelenamenti, ustioni e mutilazioni. In Italia, a tutela degli animali esiste una legge entrata in vigore a marzo 2014: il Dlgs n° 26/2014 in attuazione della direttiva 2010/63/UE sulla “protezione degli animali a fini scientifici”. La legge, che si applica anche ai cosmetici, riguarda “animali vertebrati vivi non umani compresi: forme larvali capaci di alimentarsi autonomamente e forme fetali di mammiferi a partire dall’ultimo terzo de loro normale sviluppo”.
“Le persone non sanno cosa succede in quei laboratori – spiega Michela Kuan – perché vengono costruiti sottoterra e blindati proprio per evitare di far conoscere e sapere. La vivisezione quindi, esiste ancora con 12 milioni di casi in Europa e 115 milioni nel mondo. Nel 25% dei casi in Italia, la vivisezione vede pratiche atroci sugli animali senza anestesia, pienamente coscienti, di trapianti, bruciature, estrazioni dentarie e tanto altro”. Dicono che se non ci fossero gli esperimenti sugli animali, si dovrebbe sperimentare sull’uomo e che, nonostante essi non siano del tutto predittivi per le finalità umane, servono a dare delle indicazioni.
“La sperimentazione animale è fallace da un punto di vista scientifico – precisa Michela Kuan – tutto ciò che viene testato su un animale, andrebbe poi sperimentato sull’uomo perché le similitudini non possono essere impiegate per dimostrare un’ ipotesi scientifica. Un animale infatti ha reazioni empatiche che variano anche in relazione al modo in cui l’operatore lo manipola e questo, in seguito, può alterare i risultati. Inoltre non c’è validazione scientifica perché la sperimentazione vari i sui esiti a seconda del tipo di animale; motivo per cui poi è necessario sperimentare sull’uomo”.
Dichiarazioni e conferme che vengono anche da Alessio Di Domizio delegato dell’Oipa (Organizzazione internazione protezione animali) sezione di Pescara: “Secondo la fonte Fda (Food and drug administration), il 92% delle sostanze che superano la sperimentazione animale, non risultano innocue per l’uomo. Ogni specie e differente per biochimica e fisiologia, per questi ogni risultato ottenuto dalle sperimentazione animale non dovrebbe essere esteso all’ uomo. Albert Einstein diceva: ‘Nessuno scopo è così alto da giustificare metodi così indegni’. Noi volontari Oipa condividiamo la frase, nessuna scoperta può giustificare tali atrocità. Per legge – continua Di Domizio – tutti i prodotti con i quali gli esseri umani possono venire in contatto, devono essere sperimentati sugli animali. Il 30% vengono effettuati in campo medico, mentre il restante è rappresentato da esperimenti per testare prodotti cosmetici, bellici e per prove psicologiche comportamentali. Fin quando sarà utilizzato questo modello di ricerca, la nostra salute è minacciata da tutte le sostanze chimiche che entrano in commercio. Bisogna innovare la ricerca con metodi alternativi ed efficienti”.
Ma esistono davvero delle tecniche diverse alla sperimentazione animale? In una articolo pubblicato sul The Guardian lo scorso agosto, si parla di metodi che utilizzano la tecnologia e le sue tecniche più avanzate per contrastare ed eliminare il fenomeno.
Tra esse si parla di Organi umani in microchip: un team della Wyss institute di Harvard, ha realizzato dei microchip che ricreano la micro architettura e le funzioni degli organi viventi. Sono stati riprodotti 10 organi trai quali: midollo osseo, cuore, reni fegato e polmoni. I suoi impieghi si ampliano anche alla cosmetica. Altro metodo alternativo alla sperimentazione animale, sono le Popolazioni di modelli cellulari: all’università di Oxford, il Department of computer science, ha creato un software chiamato Virtual assay che, a partire dai modelli di biologia cellulare, modifica alcune variabili per generare una varietà o “popolazione” di modelli che reagiscono in modo diverso allo stesso input. Tali “popolazioni” vengono calibrate in base a quanto osservato durante gli esperimenti e usate per analizzare gli effetti dei diversi agenti farmaceutici.
A proposito di metodi alternativi, la biologa Michela Kuan è chiara: “Manca la volontà. Non possiamo uscire dal buco nero se non si conoscono le tecniche che non prevedono uso di animali. Se continuiamo così, è giusto che i nostri talenti vadano all’estero per conoscere, studiare e andare oltre”.
Il delegato Oipa, Alessio Di Domizio, a sua volta aggiunge: “Per proteggere la nostra salute e salvare la vita di migliaia di animali, ciascuno di noi può fare qualcosa. Informarsi e informare, acquistare prodotti non testati sugli animali e finanziare solo al ricerca con non prevede il loro uso”.
Un amore e un’attenzione verso gli amici a quattro zampe che va crescendo nel nostro paese. L’ultima indagine Eurispes infatti sottolinea come l’87% degli italiani è contro la sperimentazione, il 90,7% è contro l’attività legata alla produzione di pellicce. Inoltre i cittadini del bel paese si schierano a favore dell’accesso degli animali nei luoghi pubblici (56,5%) e nelle strutture ricettive (56,8%); inoltre risulta che tra tutti gli italiani intervistati, il 6,5% si è dichiarato vegetariano (Indagine Eurispes 2014).
Può essere anche questo un modo per contrastare la vivisezione e la sperimentazione animale? Lo abbiamo chiesto a chi ha fatto questa scelta alimentare e di vita. “Perché non mangio carne? In primis per amore degli animali – ci dice Lucia Toppi di Lettomanoppello – In secondo luogo perché mangiare carne inquina (vedi allevamenti intensivi) e si estinguono anche delle specie viventi (come il tonno rosso o il pesce palla mangiato in Giappone)”. Valentina Bogi di Pescara, ci dice che aver preso Lulù, una bella cagnolina le ha cambiato la vita. “Sì, ho preso Lulù da una cucciolata di meticci a Vasto. Sono vegetariana per il grande affetto che mi lega agli animali ma anche a seguito di alcune ricerche legate alla nostra salute”.
Pamela Caporale di Pescara invece, ci argomenta la questione in un senso più ampio: “Anch’io ho una cucciola, si chiama Nocciolina e l’ho presa al canile di Ortona gestito dalla sezione locale della Lida. Scegliere di diventare vegetariani ha, fondamentalmente, due motivazioni: l’etica e la salute. All’inizio c’è sempre una ragione più forte dell’altra. Personalmente ho fatto prima di tutto una scelta etica, poi ambientalista e infine salutista”.