Fabio Mariani e la sua mostra al 16 Civico

Fabio Mariani in mostra, la locandinaFabio Mariani in mostra, la locandina

Lo spazio indipendente per l’arte 16 Civico apre le porte, sabato 5 maggio alle ore 19, alla mostra personale di Fabio Mariani, “De Atramento”, (Sull’inchiostro) a cura di Silvia Moretta, e proprio alla curatrice abbiamo chiesto di introdurci al mondo e alle opere del giovane artista romano

“Il titolo della mostra richiama la componente materica precipua delle opere di Mariani, e la lunga tradizione cui fa riferimento: l’inchiostro ferrogallico. Diffuso nel Medioevo, preparato dagli scribi nelle biblioteche e tra le mura dei conventi, la sua origine sembra essere ancora più antica: Filone di Bisanzio (III sec. a.C.) narra di un inchiostro costituito da estratti di noci di galla che rimaneva invisibile finché il foglio di carta non veniva immerso in una soluzione di sali di ferro, facendo assumere alla scrittura il colore nero; Plinio il Vecchio (I sec. a.C., “Naturalis Historia”) suggerisce un metodo per distinguere l’adulterazione del verdigris (acetato basico di rame) con il solfato ferroso: “La frode può essere scoperta con una foglia di papiro che sia stata posta in un infuso di galle di quercia: a contatto con del verderame adulterato, diventa immediatamente nera”, ovvero descrive la reazione tra il catione ferroso – ferro (II) – e l’acido gallotannico che sta alla base della preparazione dell’inchiostro ferro-gallico. La prima testimonianza certa dell’inchiostro ferro-gallico si trova nel libro di Marziano Minneo Felice Capella: scrittore latino di Cartagine (inizio V sec.), è autore di un’opera enciclopedica in nove libri, De nuptiis Mercurii et Philologiae, in forma di favola mitologica misticheggiante, in cui cita una miscela di galle e gomma
arabica.
In Europa la prima descrizione dettagliata sulla fabbricazione degli inchiostri ferrogallici è del monaco tedesco Teofilo, (XI-XII sec.), nel noto trattato “Schedula Diversarum Artium”. Da queste e dalle successive testimonianze, si evince che le ricette concordano tutte sugli ingredienti base: galle, solfato ferroso (copparosa), acqua e gomma arabica. È a questa millenaria tradizione che si aggancia Fabio Mariani, che crea, come un alchimista, il suo inchiostro, cercandone la materia prima sui rami delle querce, ovvero ricavandolo dal tannino delle galle, escrescenze abnormi ed indotte che si trovano su foglie, gemme, fiori o radici delle piante. L’agente che determina la formazione delle galle è spesso un cipinide che deposita un uovo nel tessuto vegetale giovane, facendo crescere la galla tutt’intorno alla larva, che si nutre e sviluppa all’interno di tale escrescenza protettiva.
Come già messo in luce dalla precedente personale di Mariani nella galleria d’arte romana Curva pura, “In nuce”, e dalla critica d’arte che attentamente segue il lavoro dell’artista, facendo provenire la materia dalla natura della noce della galla, l’artista condensa nelle trame della tela la natura stessa. L’inchiostro che anticamente serviva alla scrittura di manoscritti, è utilizzato in modo inedito da Mariani, per la formulazione di un nuovo codice visivo impregnato di natura, un linguaggio del tutto personale, come pura pittura di matrice informale, texture, sgocciolamenti, mai avulsi dalla realtà naturale, che appunto, porta indelebilmente dentro di sè.
Una natura non ritratta, ma che pulsa in forme che rievocano l’infinitamente piccolo, le forme frastagliate delle colonie delle muffe, con il loro schema caotico e imprevedibile, di piccoli batteri brulicanti, o l’infinitamente grande, paesaggi montani o marini, squarci di cielo, in alcuni casi dominati da accenti drammatici conferiti da lampi di aspro colore o dal profondo nero dell’inchiostro sull’alluminio inciso.
Una tela in cui agiscono le forze fondamentali della natura, e una natura che riecheggia viva sulla tela o sulla lamina ad eco dell’animo dell’artista, delle radici personali, che affondano nella montagna abruzzese, nel paesaggio di Canistro (Aq), o delle recenti esperienze, come nelle ultime chiare opere, che conservano la memoria del viaggio nelle fredde terre del nord, in Islanda. Le opere di Mariani vivono in un perfetto equilibrio tra le immagini che riaffiorano nella mente dell’artista, e la scelta, nella sperimentazione delle potenzialità dell’inchiostro ferrogallico, attraverso una costante pratica artigianale, delle “strutture” che gli appaiono significative secondo il suo intelletto e i suoi conflitti e slanci interiori. Compie quasi una cristallizzazione della natura, della chimica e degli elementi liquidi, del rapporto alchemico con la materia, senza alcuna volontà di delimitare ciò che appunto, per assunzione primigenia, è affrancata da ogni costrizione, la natura. I suoi paesaggi, che possono essere infiniti oltre i confini della tela, nascono dalla vivacità e dall’energia di un lavoro che segna le tappe di una evidente maturazione, di una maggiore consapevolezza acquisita sul proprio operare: dalle opere ancora legate a una matrice figurativa (2004- 2009), alla fase più propriamente “informale” (2009-2016), dominata dal colore e da una elevata matericità delle tele, sedi di “paesaggi interiori”, l’approdo al ferrogallico (dalle prime sperimentazioni, nel 2016) segna una svolta già sottolineata dalla recente critica d’arte, affascinata non solo dai risultati del lavoro di Mariani, ma anche dalla personale preparazione dell’inchiostro, dal rapporto artigianale con la materia, dalla ricerca delle componenti primarie, le galle, dalla preparazione della ricetta per il ferrogallico e dalla attrazione, studio e conservazione degli antichi ricettari: «I suoi lavori – su carta, tela e lastra d’alluminio – sono, quindi, oggi, astrazioni più distese, essenziali, di riduzione, e fatte anche di Chimica e Alchimia rianimate da riflessioni contemporanee dove colore, materia e geometrie biomorfe hanno a che fare non solo con la Natura, ma anche con la Memoria e la Storia, e quella dell’Arte; ma anche con la Vita e la sua circolarità. Infatti, quell’inchiostro è considerabile già contenuto in nuce (…) in un organismo che a sua volta racchiude e produce vita. Mariani, in un lungo, lento rituale preparatorio, lo raccoglie nei boschi, lo mescola all’acqua e lascia che questa miscelazione condizioni parte della strutturazione dell’immagine sulla superficie pittorica: campo, questo, dove anche il fattore Tempo ha una sua rilevanza concettualistica nel portare la pittura oltre gli argini del suo specifico e della pura forma» (Barbara Martusciello).
Il 16 Civico, spazio indipendente per l’arte, accoglie in questa personale le opere più recenti di Fabio Mariani, su tela e su lamina metallica, volendosi definire ancora una volta quale un nuovo paesaggio visivo con la “carica” chimica della sperimentazione, della ricerca, della cura di un modus operandi che sa di antico, rinvigorito da un nuovo diretto contatto con la terra abruzzese e con i suoi paesaggi”.

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