Alla meta ci arrivavano per primi, ma l’unico premio ricevuto era la fine del dolore. I bambini nei lager erano improduttivi, bocche da sfamare inutilmente, per questo gli aguzzini nazisti non avevano alcun interesse a tenereli in vita. Come gli anziani del resto, troppo fragili e deboli per servire a qualcosa o per obbedire a qualcuno. Nei campi di concentramento del Reich i bimbi internati erano i primi a morire, lasciando ai genitori il sollievo disperato di una consolazione innaturale: sopravvivere alla morte dei propri figli in un inferno che però, almeno per i piccoli, era finito. Magari sperando in un paradiso qualsiasi dove rincontrarsi e stringersi fino a farsi male, ma finalmente senza dolore. Quelli che restavano vivi sapevano comunque di avere un’esistenza a tempo: otto, nove mesi al massimo, quanto durava la vita media dei deportati di Mathausen. Entrare nel lager toglie il respiro ma accende la consapevolezza; la visita, cadenzata sul racconto della guida, si snoda lungo spazi per lo più vuoti – dormitori senza arredi, strumenti di morte arrugginiti – eppure sembra di vederli, gli internati, costretti a trascinarsi dalla baracca alla cava, dalla cava alla baracca, su e giù per la collina gelida e ventosa, spostando macigni pesantissimi. I nazisti volevano città grandiose e monumentali, occorreva sempre nuova forza lavoro – schiavi, si diceva un tempo – per estrarre il granito dalle cave austriache. Quando i deportati arrivavano allo stremo, scheletri prima ancora di morire, non restava che la doccia gasata. Poi era il forno crematorio a stendere un pietoso sudario di fuoco sui quei corpi prosciugati, esangui, stupiti da tanta cattiveria. A Mauthausen sono morte oltre 80.000 persone; di loro non è rimasto niente, solo fumo disperso nel cielo. Eppure una cosa l’hanno lasciata, la più preziosa: la memoria. Gli anni passano e i sopravvissuti diminuiscono, oggi conservarla e alimentarla è compito di chi resta. A Torre de’ Passeri hanno pensato di incidere dove è più giusto, nella mente e nel cuore dei ragazzi che frequentano le scuole del territorio.
Dal 2008, in occasione del Giorno della Memoria, il Comune promuove il premio “I giovani ricordano la Shoah”, rivolto agli allievi della scuola secondaria di primo e secondo ciclo. Pensato dall’amministrazione comunale per approfondire il dramma dell’olocausto, il concorso spinge i giovani studenti torresi ad indagare sulle cause della nascita dei totalitarismi e sul legame con la deriva nazionalista dell’Europa. Il focus della settima edizione del concorso si è soffermato in particolare sulla relazione tra attualità e totalitarismi del Novecento. Ai partecipanti è stato chiesto di proporre una lettura originale delle guerre attive in Medio Oriente, dell’espansione dell’Isis e degli attentati di Parigi. I 72 lavori presentati sono stati esaminati dalla giuria presieduta dal sindaco Piero Di Giulio e composta dalla dirigente Antonella Pupillo, dai docenti Floriana Bucci, Romano Sangiacomo e Anna Maria Calore. Ad aggiudicarsi il viaggio-studio in Austria, nel campo di concentramento di Mauthausen e nelle città di Graz, Linz e Salisburgo, sono stati Mirko Di Lorenzo (primo classificato Premio Istituto Comprensivo) con un video su Shoah e barbarie dell’Isis, Emanuele Pavone (primo classificato Premio Itc) con il rap “Ognuno è ebreo di qualcuno” e Giorgia Di Battista (Premio Giuria) con un lavoro sulla paura come denominatore comune tra memoria e attualità. Giorgia è stata accompagnata dalle musiche originali del compagno di classe Cosimo Centofanti. Al viaggio, appena concluso, hanno preso parte anche altri allievi delle due scuole, accompagnati dal sindaco Di Giulio, dai dirigenti scolastici – Antonella Pupillo dell’Istituto Comprensivo e Patrizia Corazzini dell’Istituto Tecnico Commerciale – e dai docenti Anita Diodati e Rinaldo Diodati. “Del lager di Mathausen – racconta Emanuele Pavone, 17 anni, autore del rap premiato – mi resta il senso di disgusto per la crudeltà e il cinismo a cui possono arrivare gli uomini>. Giorgia, Cosimo e Mirko si dicono colpiti dalle camere a gas e dai forni crematori e impressionati dalle fotografie di persone sopraffatte dai massi pesanti trasportati sulla “scala della morte” della cava di granito. E’ stata un’esperienza intensa e importante che ha permesso ai ragazzi di capire di più e meglio, e di non dimenticare, ciò che avevano appreso dai libri di scuola.