Cronache dal mondo animale. I dati recenti diffusi da chi si occupa della tutela delle specie protette impongono una riflessione: l’Abruzzo si prende sufficientemente cura del proprio patrimonio faunistico? Analizzando il rapporto tra gli animali nati e quelli morti emergono segnali incoraggianti, tuttavia non bastano ancora per considerare la sfida come un traguardo raggiunto. Le buone nuove arrivano da uno dei simboli della nostra regione, il camoscio, la cui popolazione evidenzia un deciso trend di crescita: 622 gli esemplari censiti nell’area protetta del Parco nazionale Gran Sasso-Monti della Laga, secondo i dati forniti dal Servizio Scientifico dell’ente e relativi al censimento 2014 condotto con il Corpo forestale dello Stato.
“Un buon risultato, frutto dell’impegno costante e delle politiche di conservazione della biodiversità! commenta il presidente del Parco, Arturo Diaconale. I 622 camosci sono suddivisi in branchi numerosi e strutturati per età e composizione, complessivamente sono 112 i maschi adulti e 217 le femmine, i rimanenti sono esemplari giovani e cuccioli. I camosci hanno colonizzato l’intera catena del Gran Sasso, dal Monte S.Vito fino al Monte Corvo.
I gruppi più numerosi sono sul massiccio del Monte Camicia e a Pizzo Intermesoli, ossia nei territori oggetto di reintroduzioni già dal 1992; tuttavia si registra un significativo consolidamento anche nelle altre zone montane. Non è escluso che, camminando per i prati, ci si possa imbattere in un giovane camoscio solo soletto, ma bisogna dimenticare ogni voglia di tenerezza disneyana e filare via con discrezione. Molto probabilmente il bambi non è vittima di una mamma snaturata, anzi. Infatti l’apparente abbandono fa parte della naturale tecnica protettiva che spinge la madre, in caso di pericolo, ad allontanarsi per distrarre il predatore ed evitare che il cucciolo venga assalito. Meglio dunque non avvicinarsi o tantomeno prendere in braccio il camoscio, anche perché una volta allontanato dalla madre questa potrebbe non riconoscerlo e lui non sarebbe ancora in grado di sopravvivere da solo. In ogni caso, nel dubbio, si può chiamare la guardia forestale che sa come intervenire. Senza contare che, almeno sulla carta, chi preleva un animale selvatico è passibile di multa.
Tornando alle presenze faunistiche protette, spicca anche la sostanziale stabilità degli esemplari di orso marsicano censiti tra il 2011 e il 2014 nell’ambito delle attività di monitoraggio del progetto Life Arctos, condotto nel Parco nazionale Lazio Abruzzo e Molise in collaborazione con il Dipartimento di Biologia dell’università La Sapienza di Roma. Dal report si evince che nell’ultimo anno, pure segnato da nuove e dolorose perdite (12 orsi morti), nell’area oggetto di osservazione sono nati 11 piccoli orsi, ai quali si aggiungono due cuccioli avvistati in Majella insieme alla madre. Complessivamente, dal 2011 al 2014, sono 31 i nuovi nati. I dati, elaborati sulla base di analisi genetiche non invasive condotte su campioni di pelo, testimoniano una certa vitalità della specie, seppure ancora distante dagli obiettivi di tutela prefissati. In generale si stima che attualmente, nella cosiddetta “core area”, gli esemplari di orso siano circa una cinquantina, più altre presenze vagabonde segnalate fuori dall’areale centrale, nel Lazio, nel Parco della Majella e nella Riserva regionale Monte Genzana.
“L’orso ce la mette tutta per sopravvivere – dice il presidente del Pnalm Antonio Carrara – ma dobbiamo aiutarlo eliminando le morti per mano dell’uomo”. E che ci sia in giro gente malvagia che se la prende con gli animali purtroppo è fuori di dubbio: a Villavallelonga, nel versante marsicano della zona di protezione esterna, le Guardie del Parco, a seguito di una segnalazione, hanno trovato otto carcasse di volpi, verosimilmente avvelenate.Un’altra volpe senza vita è stata rinvenuta dagli agenti del corpo Forestale di Collelongo durante un pattugliamento. Del sospetto avvelenamento è stata data comunicazione alla Procura della Repubblica competente, all’Autorità e ai servizi sanitari. L’episodio, che fa seguito ad altri analoghi del 2013, ripropone tristemente un’azione criminale che rischia di colorare di rosso – come il sangue – la regione verde d’Europa.