Stefano Moretti, classe ’85, nato a L’Aquila dove ha vissuto fino al 2010. Laureato in Architettura e Ingegneria edile con una tesi sul progetto di ricostruzione post-sismica dentro le mura storiche della città. Dal 2005 inizia lo studio di recitazione e teatro alla scuola d’arte drammatica Il piccolo resto. Nel 2011 si trasferisce a Roma per collaborare con il prestigioso studio di architettura di Masssimiliano e Doriana Fuksas che lascerà nel 2012 per dedicarsi a tempo pieno alla recitazione. Da quel momento inizia la carriera televisiva con i primi spot pubblicitari fino al ritorno nella sua città lo scorso anno con Sogno di una notte di mezza estate prodotto dal Teatro stabile d’Abruzzo e diretto da Andrea Baracco e Alessandro Preziosi i quali lo chiamano per un’altra produzione del TsA: Odissea. Quest’anno in ritorno in tv con il ruolo di dj Scheggia nell’amata fiction di Rai3 Un posto al sole.
Partiamo dalla fine. Come sei arrivato a Un posto al sole?
“Con un viaggio in giornata da Roma a Napoli per un provino su parte. Era l’ inizio di marzo di quest’anno. Sono arrivato all’appuntamento praticamente già in parte: in ritardo (è quello che succede al personaggio, Scheggia, di ritorno da Ibiza) e con musica disco nelle cuffie che andava a loop da due o tre ore. Ho creato di fatto la stessa situazione dello stralcio di sceneggiatura che avevo ricevuto. Credo che loro del casting abbiano visto Stefano soltanto dopo, a telecamere spente. Per il resto, si era materializzato un invasato. Era quello che cercavano”.
Come nasce la passione per il teatro e la recitazione?
“La voglia di recitare è nata presto. A 3 anni imitavo, con la gobba e col bastone, il più anziano del paese dove i miei mi portavano in vacanza. A 5 anni mi sono fatto regalare tre burattini: Pulcinella, Arlecchino e Colombina. Il resto lo facevano la fantasia, una sedia come palco, uno strofinaccio da cucina per sipario e la pazienza dei nonni che guardavano gli spettacoli. Poi dopo al Liceo ho cominciato a frequentare corsi per trasformare la passione in lavoro. Prima teatro, dal contemporaneo al classico, poi sono arrivati degli spot e qualche bel ruolo in cortometraggi di registi giovani quanto me, finché qualcuno ha avuto il coraggio di affidarmi Scheggia”.
I tuoi miti di cinema, tv e teatro?
“Gli attori che sentono una responsabilità nel preparare un ruolo. Quelli che si fanno tante domande e che poi danno corpo e voce andando oltre se stessi, oltre il proprio giudizio di ciò che è buono e ciò che è cattivo. Quelli che mettono i propri personaggi nella condizione di commettere il più atroce dei delitti credendo fino in fondo che sia giusto e necessario. Non so spiegarlo meglio di così. Al Pacino lo spiega bene, nella sua biografia fatta di interviste rilasciate negli anni a Lawrence Grobel, che sto rileggendo per la terza volta. Lo consiglio a tutti gli appassionati”.
Perché hai scelto la carriera di attore?
“Credo sia dovuto a un disturbo caratteriale. (Ride) Chi mi conosce dice di me che sono un condominio sovraffollato, e che non metterò mai pace nell’assemblea degli inquilini finché non ne ammazzo qualcuno. Troppe personalità, insomma. Perciò incarnare personaggi è il modo migliore per farle vivere tutte quante, queste identità”.
La tua città, il nostro capoluogo: L’Aquila. Hai vissuto il sisma del 2009. Che ricordi hai?
“Ricordo di aver preso coscienza della morte, a 23 anni. Da ragazzi non capita facilmente di pensarci. E poi ricordo persone in fuga a branchi dalla propria città, e le capisco. Anche i miei nervi hanno ceduto alla paura in quei giorni e ho desiderato scappare. Eravamo sotto stress da troppo tempo per le continue scosse. (Si gratta le mani) Ho una dermatite che non mi abbandona da allora. Nonostante da tempo si parli solo di ricostruzione”.
Sei laureato in Architettura e Ingegneria edile con una tesi dedicata proprio alla ricostruzione. Ci vuoi parlare del tuo progetto?
“Certamente. La tesi era un progetto di ricostruzione di un’area urbana, dentro le mura aquilane, con un altissimo potenziale paesaggistico, centrale, ricca di storia e monumenti. È l’area compresa tra il Borgo Rivera, Villa Gioia, via XX Settembre e le mura a ovest. Ho intitolato la tesi ‘Reversione’ perché trovavo che ‘ricostruzione’ fosse un concetto troppo statico e che si dovesse invece ripensare il modello insediativo (nel rispetto dell’identità storica del luogo) per una qualità di vita ancora migliore. Avevo visitato Gemona del Friuli, dove a fine anni Settanta la ricostruzione si era spinta fino alla riorganizzazione delle proprietà dei singoli a vantaggio della forma della città. Purtroppo, una volta conclusa, mi sono accorto che la mia proposta non si sarebbe potuta applicare in un luogo in cui al primo posto viene messa la proprietà e in cui i proprietari e di conseguenza i progettisti, di fronte all’esigenza di demolire e ricostruire, non intendono minimamente allargare lo sguardo oltre il proprio recinto. È per questo motivo che all’interno delle mura ricostruiremo dei pezzi di periferia (che è un paradosso, chiaramente) identici a quelli degli anni del boom edilizio, quando si parlava di urbanistica e intanto si circondava di paccottiglia i magnifici centri antichi”.
Un messaggio che vorresti lanciare tramite noi agli aquilani?
“La nostra città e gli aquilani, si stanno misurando con un momento cruciale della loro storia, che può dare esiti felici oppure no. Non mi sento di dare istruzioni per l’uso a nessuno, perché sono il primo a non averne. Però posso mandare un saluto affettuoso a tutti quegli aquilani che saranno felici di riceverlo, questo sì”.