La dolce tradizione natalizia abruzzese: storie e leggende della gastronomia regionale

dolci abruzzesi

E’ tante ‘bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciat­tè, c’avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce

Il vate Gabriele D’Annunzio scelse questi versi in vernacolo per celebrare l’amato parrozzo. Senza dubbio il dolce più caratteristico d’Abruzzo, nato co­me dolce natalizio ne­gli anni 20 per iniziativa del pescarese Luigi D’Amico che s’ispirò all’antico pane delle mense contadine, a crosta scura, cotto nel forno a legna e a pasta gialla, caratteristica dovuta all’impiego del­la meno pregiata farina di mais, scegliendo uno stampo a cupola a ricordare le tradizionali pagnotte. D’Amico chiese a d’An­nunzio, frequentatore del suo locale, di dare nome alla sua cre­azione, venne così co­niato il termine parrozzo, ovvero pane rozzo, l’aggettivo era inteso, con valenza di significato positiva, come schietto e sincero a esaltarne la genuinità.

Più antica è la ricetta del Pan Ducale, un pez­zo di storia di Atri, che per quattrocento anni legò il proprio nome a quello dei duchi di Acquaviva d’Aragona, che vi regnarono dal XIV al XVIII secolo. Gli atriani, al momento del suo insediamento, lo offrirono al duca, e se­condo la leggenda, egli ne rimase così conquistato al punto di volerne una fetta in tavola ogni giorno. In origine della sua produzione, questa leccornia atriana era conosciuta come pizza alle mandorle, ma a seguito del legame che il dolce instaurò con la nobile famiglia, la ricetta venne poi ribattezzata come pan ducale. È di solito sempre presente nelle occasioni importanti o nelle visite di parenti e amici, so­prattutto nel periodo natalizio, ma come il parrozzo, viene gustato anche in altri periodi dell’anno.

I calcionetti, meglio noti come caggiunitt, sono un altro dolce tipico natalizio nostrano, la cui paternità è contesa tra i sansalvesi e i teramani, ma viene proposto in tutte le zone della nostra regione con un diverso ripieno, che va­ria da città a città se­condo gli ingredienti che si aveva maggiormente a disposizione in base alle risorse del territorio, nel chietino con il ripieno di ceci, a L’A­quila con le mandorle, mentre a Teramo con una crema di castagne. Non mancano versioni con la marmellata d’u­va, a volte mista a cacao, e in tempi più moderni con la nutella. I calcionetti, che rientrano anch’essi nella categoria dei dolci po­veri delle tradizioni contadine, venivano fatti in concomitanza con le scrippelle per riutilizzare l’olio della frittura. Prima venivano fritte le scrippelle e poi i calcionetti, perché questi deliziosi piccoli ravioli, potevano dar luogo a un rilascio di residui del ripieno. Per essere di qualità devono risultare più vicini al bianco, friggerli bene, appena quanto serve, pare sia il segreto della loro prelibatezza. Adesso non resta che procurarci una buona genziana per concludere al meglio e facilitare la digestione dei pasti che ci attendono in queste festività.

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