Lu regu, il serpente innominato della tradizione popolare abruzzese

Serpente

di MICHELE BRUNETTI

Un serpente mostruoso dalle abnormi dimensioni che infesta le campagne abruzzesi come quelle di Toscana, Umbria, Marche e Molise, tutti i contadini del centro Italia lo temono.

Vive nei canali, negli an­fratti montani, nelle macchie, striscia sibilando nei campi, guai incontrarlo o fe­rirlo per sbaglio e soprattutto mai dire il suo nome a vo­ce alta o la bestia ci perseguiterà per tutta la vita sino a condurci alla follia, non esiste essere più vendicativo. Lu regu, così veniva chiamato nella Sabina, ve­tusta re­gione storico-geografica dell’Italia centrale, che comprendeva anche una parte dell’Abruzzo. Le te­stimo­nian­ze raccontano di un grosso serpente dalla testa grande, come quella di un uomo giovane, che vive nelle siepi e ben lontano dalle abitazioni.

Pare che le leggende sul suo conto si siano sovrapposte. Una versione racconta di una vipera tagliata a metà che non muore e cresce a dismisura diventando la strana creatura, un’altra ipotizza che quando il pericoloso serpente supera i cento anni d’età si trasforma automaticamente nel regolo. infine, la più suggestiva, sostiene che il bizzarro animale nasca da un uo­vo di gallo di sette o quattordici anni, deposto su un mucchio di letame e covato da un rospo, da una rana o da un serpe. Il nome regolo rimanda a “piccolo re” e gli studiosi di folclore credono sia la versione mediterranea del famigerato Basili­sco, il re dei serpenti già d­escritto nei bestiari medievali e da Plinio il Vec­chio nel Naturalis Historia, dotato di alito mortale e capace di pietrificare i nemici soltanto con lo sguardo, anche se la grande differenza di dimensioni tra le creature non convince, una, quella nostrana, con la testa più grande di quella di un bambino, l’altra con un cor­po complessivo di nemmeno venti centimetri.

Una figura del genere era ovviamente assimilabile al nemico per eccellenza, Sa­tana. Nei culti precristiani era un simbolo del male e della morte, con l’avvento della Cristianità il Basilisco si è trasformato nell’incarnazione dell’avversario su­premo, un destino che ha accumunato un po’ tutte le bestie striscianti. Antica­men­te, quando c’e­ra la mietitura, genitori e nonni, per tenere buoni figli piccoli e nipoti, raccontavano di questo famigerato re­golo, un mostro spaventoso dal sibilo acutissimo, capace di attirare i serpenti della zona e d’ inghiottire tutti quelli che si avvicinavano, soprattutto i bambini ca­pricciosi che non prestavano ascolto alle raccomandazioni dei più grandi. Oggi qualcuno lo ricorda ancora e camminando per le campagne presta maggiore at­tenzione su dove mette i piedi, trattenendo un po’ il respiro quando una siepe è vicina.

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