di MARINA MORETTI
Quel medico è un cane! Ma se credete che l’epiteto si riferisca ad un dottore incompetente siete fuori strada: la frase va intesa in senso letterale, se è vero come è vero che l’Università della California ha “assunto” due cani specializzati nel “diagnosticare” il cancro.
Non è stregoneria, non è sensazionalismo, non è millantato credito da occultista: la capacità canina di annusare la malattia è già stata trattata in varie pubblicazioni scientifiche internazionali. L’olfatto dei cani supera di centomila volte quello umano, dunque il fiuto di Fido è in grado di individuare la presenza del cancro discriminando sostanze da noi non percepibili. Il primo caso risale al 1989, quando un dalmata che annusava ostinatamente da mesi la gamba della padrona ha permesso di scoprire la natura maligna di un neo. I tessuti cancerosi hanno un odore particolare a causa del loro metabolismo, che produce idrocarburi e alte concentrazioni di composti azotati. Un odore che i cani addestrati allo scopo riconoscono precocemente nel fiato e nelle urine.Dunque i 250 milioni di sensori olfattivi canini sono in grado di scovare un cancro, per esempio al polmone o alla prostata, quando non è ancora diagnosticabile dall’uomo. Ai pionieri Alphie e Charlie – quattrozampe californiani seguiti da uno staff di medici, veterinari e studiosi del comportamento animale – l’Europa ha già risposto con tanti altri, come Lucy e Glenn, addestrati in Inghilterra e utilizzati in Trentino come laboratorio d’analisi vivente. Questi cani labrador sono davvero i migliori amici dell’uomo, visto che sono capaci di fiutare carcinomi a vescica, prostata, polmoni e reni. La sperimentazione è curata dalla onlus Medical Detection Dogs Italia, che si occupa di ricerca mediante l’utilizzo dei cani. Glenn e Lucy supportano medici e laboratoristi nei casi dubbi, oppure quando i pazienti rivelano dei sintomi che le analisi ancora non confermano. Annusano attentamente i campioni e si siedono solo di fronte a quello in cui fiutano le cellule malate; se il campione è negativo restano in piedi fissando il conduttore.
Anche nei tumori allo stadio iniziale l’attendibilità supera il 90%. I cani detective del cancro sono tra i temi emersi nel IV Congresso nazionale dell’Accademia Italiana Multidisciplinare per l’Urologia Territoriale (AIMUT), ospitato recentemente dall’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara. Quattro giorni di interventi, incontri e seminari, con focus particolare sui tumori della prostata. A Chieti sono arrivate le eccellenze dell’urologia italiana, come Michele Gallucci, direttore dell’urologia oncologica dell’Istituto Tumori di Roma, o Tullio Lotti, professore emerito di Urologia all’Università Federico II di Napoli. Il congresso è stato presieduto dal prof. Domenico Genovesi, direttore della Radioterapia Oncologica di Chieti e presidente AIMUT, e coordinato dal dottor Giuseppe Di Giovacchino, responsabile dell’Urologia Territoriale della USL di Pescara. “Siamo stati particolarmente felici di ospitare le massime autorità su queste patologie tumorali – dice Di Giovacchino – una preziosa occasione per un aggiornamento di livello rivolto alla comunità scientifica regionale e nazionale. E’ finita l’epoca degli eremi: ospedale, territorio e medici non devono più operare in modo isolato, ogni singola struttura deve essere il nodo di una rete che affronta specifici problemi di salute moltiplicando i punti di accesso per il cittadino. L’urologia territoriale ha imparato a sfruttare le tecnologie informatiche per il monitoraggio e la valutazione clinico-assistenziale, la multimedialità dunque svolge un ruolo essenziale”. Questa logica sanitaria è già attuata dal Day Service Urologico della USL di Pescara, alternativo al ricovero ordinario e al Day Hospital e dove il modello assistenziale non è più centrato sulla singola prestazione, ma sul problema clinico. Inquadrato da attente analisi multidisciplinari, il paziente, persino quello oncologico, può essere seguito adeguatamente restando fuori dall’ospedale.
I risultati sono comunque ottimi, in linea con quelli già esaltanti che attestano l’aumento importante delle guarigioni. Alla funzione dell’urologo territoriale si guarda con interesse anche all’estero. Se ne è parlato, per esempio, nel meeting del luglio scorso a Mostar, in Bosnia-Erzegovina. “Abbiamo esportato un’esperienza – conclude Di Giovacchino – su cui abbiamo investito tanto impegno e che rientra nella logica dell’attuale politica sanitaria: incoraggiare i presidi territoriali all’efficacia e alla centralità di cura del paziente e soprattutto all’appropriatezza prescrittiva diagnostico-terapeutica”. Per far emergere temi delicati e sommersi come l’incontinenza urinaria o la disfunzione erettile, il Day Service Urologico promuove un’intensa attività di comunicazione con il territorio. Sensibilizzare i cittadini e far conoscere a tutti i fattori di rischio delle malattie uro-andrologiche significa anche diffondere nell’universo maschile una maggiore cultura della prevenzione, ancora in netto ritardo rispetto a quella delle donne.